A livello nazionale il trasporto stradale è responsabile di circa il 30% delle emissioni totali di polveri sottili (PM). Nelle città dove il traffico è maggiormente elevato il trasporto su gomma è responsabile di circa il 70% delle emissioni. La maggiore fonte di queste emissioni sono da attribuire alla trazione diesel subito seguita dalle motorizzazioni a due tempi. Nonostante l’aumento delle autovetture diesel (si è passati da 4.800.000 nel 2000 a 11.000.000 nel 2006) e il crescente utilizzo dell’autovettura privata come mezzo di trasporto, le emissioni di polveri sottili si sono ridotte grazie soprattutto ai progressi tecnologici compiuti. Ciò non ha comportato una corrispondente diminuzione delle concentrazioni in aria delle polveri. Soprattutto nei mesi invernali, a causa anche del riscaldamento domestico e di condizioni meteorologiche sfavorevoli nelle maggiori città italiane, vengono superati i limiti alle emissioni previsti per questo inquinante. La necessità di ridurre le emissioni di PM è un passo obbligato per migliorare la qualità dell’aria delle città. I filtri antiparticolato (DPF – Diesel Particulate Filters) sono attualmente la migliore tecnologia di riduzione delle emissioni delle famigerate polveri sottili emesse dai veicoli diesel.
Qual è lo scopo di un filtro antiparticolato?
Innanzitutto cerchiamo di capire meglio che cos’è e a cosa serve. Come è noto, i veicoli diesel emettono il cosiddetto particolato fine (PM10), oltre ad altre sostanze inquinanti. Il PM10 è costituto da particelle molto piccole dell’ordine delle decine di nanometri. Queste particelle hanno pesanti effetti sulla salute umana anche perché veicolano altre sostanze come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e alcuni di questi ultimi sono cancerogeni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, in uno studio condotto nel 2004 nelle principali città italiane, ha stimato che oltre 8.000 decessi l’anno sono da attribuire a concentrazioni medie di PM10 di 20 microgrammi per metro cubo.
Come funziona un filtro antiparticolato?
Il filtro antiparticolato più diffuso è quello costituito da materiali porosi che possono essere a base ceramica (Figura 1) o metallica. Il filtro deve avere due caratteristiche essenziali: trattenere al suo interno il particolato e resistere ad elevate temperature. Infatti, il continuo accumulo di particelle all’interno del filtro ne provoca il progressivo intasamento che influenza in maniera negativa il comportamento del motore. Per questo è necessario rimuovere periodicamente il particolato accumulato sul filtro. Il particolato diesel è composto prevalentemente da materiale carbonioso e per rimuoverlo bisogna bruciarlo (ossidarlo). Questo processo si chiama rigenerazione.
L’ossidazione del particolato avviene a temperature di circa 600 °C ma nelle autovetture la temperatura dei gas di scarico è generalmente compresa tra i 200 ed i 300 °C. Per ossidare il particolato esistono due diversi approcci: si aumenta la temperatura dei gas di scarico o si abbassa la temperatura di ossidazione con l’aiuto di sostanze catalizzanti.
Nel primo caso l’aumento della temperatura dei gas di scarico viene ottenuta mediante una iniezione in eccesso di combustibile, che viene poi bruciato all’interno di un catalizzatore ossidante provocando in tal modo un innalzamento della temperatura dei gas di scarico (figura 2). Nel secondo caso (uso di catalizzatori) ci sono due diverse alternative: o si addizionano al combustibile sostanze catalizzanti (per esempio biossido di cerio) o il catalizzatore viene depositato sulla superficie attiva del filtro (in questo caso si usano sostanze a base di metalli preziosi come platino, palladio o argento).
Ovviamente, come per esempio nel caso di una nota casa automobilistica francese, tali strategie possono essere tra loro combinate.
Nei casi sopra descritti si parla di rigenerazione discontinua e tutto il processo viene gestito da una centralina opportunamente programmata che decide quando è necessaria una rigenerazione.
Esiste poi un’altra strategia in cui il processo di rigenerazione avviene in maniera continua. Si basa sul fatto che il particolato diesel viene ossidato a temperature relativamente basse (fino a 250 °C) dal biossido di azoto secondo la reazione:
NO + 1/2O2→ NO2
2NO2 + 2 C → N2 + 2CO2
In questo caso è necessario porre a monte del filtro per il particolato un catalizzatore ossidante che trasforma l’ossido di azoto presente nei gas di scarico in biossido di azoto (fig. 3).
Vantaggi
Riduzione dell’ordine del 95-99% delle emissioni in massa delle particelle; riduzione dell’ordine del 90-95% delle emissioni in numero del particolato; la riduzione interessa tutto lo spettro dei diametri delle particelle.
Sensibile riduzione delle emissioni di monossido di carbonio (CO) e di idrocarburi incombusti (HC), se è presente anche un catalizzatore ossidante, e ininfluenti variazioni delle emissioni di ossidi di azoto (NOx) ma, sempre in presenza di un catalizzatore ossidante, aumento del rapporto diossido di azoto/biossido di azoto (NO2/NO).
Notevole riduzione degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e di altri composti organici assorbiti sul particolato.
Svantaggi
Lieve aumento dei consumi (+ 3%) a causa della contro-pressione allo scarico causata dal progressivo intasamento del filtro.
In fase di rigenerazione (per i filtri C-DPF) si può avere un leggero incremento delle emissioni di CO. Sempre durante la rigenerazione in alcuni casi si è registrato un lieve aumento delle emissioni di PM che in ogni caso non compromettono in nessun modo l’efficienza complessiva del sistema. Sono in corso studi.
Limitazioni d’impiego
In presenza di catalizzatore ossidante (CR-DPF) è richiesto l’uso di gasolio a bassissima concentrazione di zolfo (inferiore ai 10 ppm). Il filtro antiparticolato deve essere periodicamente sostituito quando, il suo intasamento, nonostante le rigenerazioni, provoca contro-pressioni tali da compromettere la funzionalità del motore. In genere un filtro antiparticolato deve essere sostituito dopo 80.000-100.000 km. Modelli più recenti richiedono una sostituzione ogni 180.000 km.